Conosciamo meglio Antonio Romano, fondatore di Inarea, il designer a capo della prima realtà di corporate branding in Italia, con quasi quarant’anni di storia. Architetto e designer ha il ruolo di project leader per la clientela e i progetti più importanti. Coordina e dirige gruppi di progetto multidisciplinari nell’ambito del branding e della comunicazione.
Antonio Romano ha operato direttamente su progetti di positioning e branding per: ACI, AC Milan, Anas, Biennale di Venezia, CGIL, Capitalia, Confindustria, Comune di Milano, Comune di Roma, Coni, Edison, Eni, Enel, Finmeccanica, ICE, Invitalia, Maxxi, NTV Italo, Poste Mobile, Rai, Salini Impregilo, Snam, TIM e molti altri. Tiene corsi e seminari in Italia e all’estero (Sapienza Università di Roma, Bocconi, PoliMi, Luiss, IULM, Harvard, Universidade de Vigo). Inoltre è stato insignito del Pantone Prize per il graphic design ed è Brand Ambassador per International Trademark Center.
Diverse sono state le mostre dedicate alla sua attività, tenutesi fra New York, Buenos Aires, Bruxelles, Varsavia, Berlino, Copenhagen, Roma e Milano.
Corporate Branding: cosa è cambiato con l’arrivo del digitale?
Per quarant’anni con Corporate Identity era basata sulla capacità di prendere un elemento caratterizzante (come il logo), e ripetere all’infinito quel simbolo identificativo su prodotti, divise, cartelli, ovunque. Bisognava trovare una coerenza rispetto a questo elemento che, grazie alla corretta ripetitività, generava una riconoscibilità e quindi la scelta del consumatore del prodotto che recava quel simbolo familiare. Identità ha un sinonimo nella parola riconoscimento.
Oggi, paradossalmente, è più importante la Customer Identity, ovvero comprendere il proprio cliente, senza rinunciare all’identità che l’impresa propone al mercato: questa è la chiave d’accesso per arrivare al cliente: il digitale ha rovesciato i termini della relazione cliente-azienda.
Qual è il peso del “brand” online rispetto all’off-line?
Le aziende come la Würth, che per anni hanno certificato i prodotti che commercializzano e dato un senso di qualità al proprio logo, sono riusciti in un lavoro molto difficile: quello di legare il proprio nome ad un sinonimo di qualità rispetto alla concorrenza. Il brand non è l’etichetta che segue il prodotto, ma lo precede: un’azienda che ha una credibilità elevata è affidabile agli occhi dei suoi clienti anche online.
Il cliente diventa Würth a tutti gli effetti, è parte del mondo che il valore del brand esprime e questo non è un mondo di prodotti, ma di efficacia, garanzia e qualità. Questo è Würth, risposte veloci e precise alle richieste del suo cliente, il brand è ottenere il miglior risultato con la qualità del marchio: in questo si rispecchia il cliente!
Il cliente non vuole acquistare prodotti Würth ma vuole essere parte dell’universo che il brand Würth rappresenta!
Quali sono gli elementi chiave di un corporate branding di successo?
Noi facciamo un mestiere di artigianato che converge sugli elementi non tanto tecnici del digitale, ma concettuali. Per favorire al meglio il cliente, occorre studiare il percorso che fa l’utente online e offline attraverso la Customer Journey Map, e risalire ai punti fondamentali della sua esperienza.
Quando disegnano le interfacce la struttura culturale del progetto aziendale) disegniamo gli attrezzi per permettere al cliente di avere un’esperienza quanto più appagante rispetto alla sua esigenza.
Come si deve evolvere una grande azienda in un clima di innovazione fatto di realtà aumentata, visori e nuove tecnologie?
Illudersi di lavorare secondo modalità B2B o B2C è difficile se si pensa all’evoluzione che il mondo ha vissuto: io credo nel lavoro Human to Human, o H2H. Si parla al cuore delle persone, ma questo non deve essere frainteso come un sistema demagogico. La cultura del fare, il know how dell’azienda, è fondamentale.
Pensiamo al medioevo, all’epoca dei costruttori di cattedrali: i nostri antenati iniziavano la costruzione di una cattedrale con la consapevolezza che né loro, né i loro figli né i loro nipoti avrebbero visto il completamento della grande costruzione. Secoli di lavoro e un’idea fondamentale sotto, molto più grande di loro. Le aziende, in una scala diversa, rappresentano questo. Senza la lungimiranza di chi ha guidato la Würth questa sarebbe rimasta una realtà che produce commodities, merci senza nome, senza avere un dialogo vero con il cliente. Ma è grazie a queste persone che il valore che si è trasmesso è quello di “appartenenza”, un’identità culturale dove il valore lo ha la comunità e non solo il singolo prodotto.
Senza la lungimiranza di chi ha guidato la Würth questa sarebbe rimasta una realtà che produce commodities, merci senza nome
Cosa si intende quando si parla di multisense brand?
Si prevede che per la fine del 2021 nel mondo ci saranno un miliardo di “autoparlanti intelligenti” come Alexa, Google e altre intelligenze artificiali. Pensiamo a chi ancora si stupisce della velocità nel ricevere informazioni grazie al semplice digitare della domanda su Google: è assurdo paragonare questo processo alla lentezza della ricerca in biblioteca che sarebbe servita fino a qualche decina di anni fa. Tutto è disponibile in tempo reale e l’intelligenza che troviamo online ci fornisce ciò di cui abbiamo bisogno in un lampo, ma questo non basta!
Fra qualche anno la voce sarà un elemento di branding significativo, immaginiamo che voce potrebbe avere Würth: magari la voce di un uomo con un tono caldo e accogliente. Dire “Alexa, riordina il magazzino Würth” sarà molto più pratico che controllare un display con lo stato del magazzino perché, ai fini del brand, la pervasività del visivo – che sembrava insuperabile fino a pochi anni fa – è in realtà semplificato ulteriormente dalla velocità del parlare e ricevere informazioni dalla macchina attraverso un dialogo. Una relazione “calda” fra uomo e macchina che compie l’azione diversa dal semplice click sul display. Per questo è “multi-sense” e questo futuro, sempre più vicino, ci fa sentire ancora in un’epoca “antica” rispetto a quello che ci aspetta.
In una società data driven, cosa influenza il processo creativo?
I dati sono come le stelle, facili da vedere, da ricavare: l’intelligenza è saperli leggere. Il creativo per progettare segue dei processi: deve conoscere il business, la concorrenza, lo scenario, le potenzialità, il target finale ed è facile che qualcosa sfugga. È l’arbitrio che è fondamentale, il momento in cui si “va di pancia”.
La logica contemporanea è però basato su una vastità di dati e non esiste più un progetto definitivo perché l’essere umano non è statico e fermo e così sono i progetti, un lungo divenire. La prototipizzazione progressiva è fondamentale e sono proprio i prototipi sbagliati e gli errori ad insegnarci di più. Niente può essere pensato in termini di “per sempre”, i prototipi vengono sperimentati su campioni di mercato e possono avere costanti miglioramenti progressivi.