Nicola Porro è il vicedirettore de Il Giornale. Laureato in economia alla Sapienza di Roma, dal 2015 tutte le mattine su Facebook cucina la sua Zuppa di Porro, lettura irriverente dei giornali. Due volte alla settimana è in onda su Canale 5 con Martix e conduce 105matrix su Radio 105. È anche imprenditore, è molto legato al vino e all’olio che produce in Puglia nella tenuta di famiglia che sia chiama Rasciatano. Lo abbiamo intervistato al Würth Customer Day, giornata dedicata ai clienti che vogliono capire come migliorare i propri processi di business.
Parliamo di manovra. Ci dai la tua ricetta alla Zuppa di Porro?
Per semplificare, questa manovra rappresenta un cambio di paradigma rispetto al passato. In passato, si è cercato di aiutare le imprese per creare occupazione e crescita. Questa manovra destina invece 20 miliardi su 40 a forme di assistenza, come il reddito di cittadinanza e le pensioni a quota 100. L’idea è che in questo modo possano crescere i consumi. Tuttavia, sia questa sia le vecchie manovre hanno fatto dell’Italia un Paese che cresce poco. Se dovessi fare una zuppa di Porro direi che le ricette passate non erano sbagliate dal punto di vista del metodo, anche se non hanno dato i frutti sperati, mentre questa manovra è assurda dal punto di vista dei contenuti. Vedremo i risultati.
Si sente parlare spesso di clima di incertezza. Tutto vero o siamo nel bel mezzo di una rivoluzione industriale? Ce ne stiamo accorgendo?
Da quando siamo nati sentiamo parlare di clima di incertezza. Negli ’70 c’era incertezza; negli anni ’80 c’era incertezza, ma anche ottimismo; negli anni ’90 c’erano le prime crepe della politica economica; negli anni 2000 l’incertezza è stata causata dal crollo delle Torri Gemelle e poi l’incertezza della crisi del 2007. In realtà, credo che oggi non ci sia incertezza, ma un cambio generazionale. Non in termini di età, ma di tipologia di lavoro che svolgeremo in futuro. Chi tra 1700 e 1800 era immerso nelle nuove macchine, nel vapore, nell’elettricità, non capiva di essere immerso nella rivoluzione industriale. Oggi, si parla di rivoluzione digitale, ma non si ha l’idea di che cosa sia una rivoluzione. Non c’è incertezza, ma la certezza che quello che si è fatto fino ad ora non si farà più.
Cosa pensi della digitalizzazione? Come imprenditore ti stai digitalizzando?
Sì, ma da piccolo imprenditore ancora non riesco a cogliere tutti i vantaggi della rivoluzione digitale. Oggi la digitalizzazione è fondamentale, ma è un’etichetta e comprendere che cosa significhi veramente è complicato. Quanti dati riusciamo a gestire, governare e utilizzare nelle nostre piccole imprese? In una scala da 1 a 100, noi piccole imprese riusciamo 10, mentre grandi colossi come Google, Facebook, Instagram e altri li usano a 100.
Quando arriveremo tutti a 100, come cambierà il mondo del lavoro?
Cambierà che gli uomini dovranno governare i dati e la digitalizzazione, oggi ne sono ancora governati. Un po’ come le macchine ci governavano alla Charlie Chaplin, oggi i dati ci governano. Il futuro starà nella capacità di riuscire a gestire e utilizzare i dati non in modo ancillare, ma liberistico.
Industria 4.0?
Per ora è stata un buono strumento di politica economica: ha detassato. Le imprese, quando sono tassate, investono di meno. Il punto fondamentale è che se un’azienda per investire spende meno, quell’azienda sarà incentivata a investire. Bisogna incentivare le aziende prima a esistere, poi a investire.