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Per la rubrica mensile Ideas for Managers, abbiamo intervistato Damiano Faccennini, Retail Marketing Manager in Würth Italia, che ci spiega quali sono le sfide più impegnative del marketing per i negozi.

Damiano Faccennini

Damiano ha conseguito la Laurea Magistrale in Economia e Management presso l’Università di Roma Tre, quindi ha maturato esperienze nel mondo del retail in alcune tra le più note aziende. Oggi segue il marketing degli oltre 180 negozi Würth e il progetto Würth Automatic Store, il primo negozio automatizzato in Italia.

Qual è la sfida più impegnativa per chi si occupa oggigiorno di retail marketing?

Senza dubbio la trasformazione digitale, le evoluzioni tecnologiche e i sempre più diversi stili di consumo tra le generazioni hanno avuto un notevole impatto sul mondo fisico e sulle dinamiche legate alla customer experience che si realizza in un negozio.

Per i retail marketer ciò ha significato apprendere nuove competenze e conoscenze e guardare il funnel in maniera più amplia.

Numerosi e autorevoli studi ci dicono che oggi si sta già affermando quella che tra qualche tempo sarà la categoria prevalente di consumatori, ovvero gli omnishopper, consumatori più smart che usano abilmente i dispositivi digitali e si muovono da un canale all’altro. Per loro è prassi informarsi online e concludere l’acquisto in negozio.

Pertanto bisogna ragionare su due macro step: il cliente approccia ad un brand o ad una promozione nel mondo online, cerca informazioni sul negozio su un sito, su Google o sui social, pertanto già lì bisogna intervenire con strategie mirate volte al drive to store.

Dopodiché, una volta in negozio, bisogna attuare delle strategie in grado di convertire e massimizzare il potenziale del cliente, con strumenti, servizi e modalità differenti dal passato.

Queste possono essere le classiche strategie volte al cross-selling e all’upselling, affiancate però a nuove modalità: i clienti che visitano in negozi non si aspettano solo di trovare un luogo che risponda alle proprie necessità di approvvigionamento, ma anche uno spazio di intrattenimento e nel quale vengono celebrati i valori del brand e nel quale poter interagire con lo stesso.

I clienti più digitali ad esempio chiedono alle marche di essere attente a tematiche quali la sostenibilità, l’inclusione sociale e il saper emozionare.

Per questo i marketer devono avere delle alte competenze comunicative e sapere come veicolare fisicamente certi messaggi tramite i nuovi strumenti digitali. Penso alla tecnologia dei beacon, a kiosk digitali per evitare la fila, ai camerini virtuali e agli experience corner dove testare i prodotti.

Nei fatti penso che il ruolo del retail marketer per come siamo abituati a conoscerlo verrà soppiantato dalla figura del retail omnichannel marketer.

Come per tante altre professioni siamo davanti ad una vera rivoluzione che rappresenta anche un’entusiasmante opportunità per evolvere le proprie competenze e le proprie capacità.

Si attribuisce sempre più importanza ai dati. Dove si avverte il cambiamento maggiore nel retail marketing?

Siamo di fronte ad una digital disruption del retail e questo si nota anche dalle KPI utili a valorizzare gli spazi fisici.

Oltre agli indicatori standard come frequenza di acquisto, conversion rate, valore ordine medio, upt, redditività clienti, rotazione, è necessario raccogliere nuovi dati che descrivano una customer journey più complessa e meno lineare. In questo senso gli analytics offerti dal mondo dei big data rappresentano lo strumento più efficace per un marketer.

Il miglior data set per guidare la personalizzazione include un robusto mix di dati espliciti e impliciti: demografici, comportamentali, relativi agli interessi, predittivi. È necessario avere un’unica vista sul cliente e sulle performance, per sapere chi è, da dove sta interagendo con il brand in qualsiasi momento e in real time, ma anche come, quando e dove il cliente è ingaggiato, incluse le preferenze di canale, lo storico acquisti e molto altro. Un percorso che arriva fino a predire la prossima azione del cliente, per personalizzare e per promuovere percorsi specifici.

Inoltre, anche le nuove tecnologie in-store possono raccogliere ulteriori dati per meglio capire come si muove il cliente in negozio, quali sono le aree di salienza e valutare pertanto anche l’efficienza al metro quadro: parliamo ad esempio di videocamere e dei tracker di posizione, che forniscono ai rivenditori dati utilizzabili sull’efficienza del layout del negozio e sull’assortimento dei prodotti. Ogni metro quadrato dello store, infatti, può diventare un potenziale touchpoint della relazione cliente-retailer: installazioni interattive, oggetti connessi e comunicanti, scaffali, tavoli o specchi intelligenti aiutano i brand a erogare informazioni e a raccogliere dati.

Il fattore umano resta il fulcro del mondo retail. Come ottenere una perfetta sinergia tra sede centrale e negozi?

Sono un grande appassionato di cinema (n.d.r. Damiano ha conseguito la Laurea Triennale in Produzione Cinematografica e Televisiva) e una delle mie frasi preferite è: “Stavo pensando che di tutte le piste di questa vita la più importante è quella che conduce all’essere umano. Penso che tu sei su questa pista e questo è bene.”

Credo molto in questo concetto, ma credo anche che la più alta capacità umana sia quella di adattarsi ai cambiamenti.

Rischiando di dire una banalità, è evidente che nessuna macchina o tecnologia potrà mai soppiantare l’essere umano, la propria capacità empatica, di relazione, di comunicazione e di emozione con l’altro.

La sfida oggi sta nel dotare le persone, che lavorano in negozio, di strumenti efficaci che rispondano ad un’esigenza concreta, facilitando il lavoro umano e supportandolo. L’innovazione fine a sé stessa non è mai una cosa positiva per il business, nonostante per chi faccia marketing possa sembrare una ghiotta opportunità di branding. L’innovazione deve essere funzionale e replicabile su larga scala.

In primis occorre creare un network costante nel tempo tra area strategica e decisionale con quella funzionale ed operativa. Dopotutto chi lavora in negozio è l’incarnazione del brand, dei suoi valori e dei suoi obiettivi, pertanto deve essere assolutamente allineato con le intenzioni strategiche.

Anche qui c’è da fare una riflessione circa l’impatto della digitalizzazione sul capitale umano.

Qualche tempo fa il mio manager mi mostrava delle interessanti slide del Politecnico di Milano: la digitalizzazione non è un processo a sé stante, deve necessariamente coinvolgere il capitale umano per portare valore all’azienda. Purtroppo vediamo che tecnologie e contesto oggi cambiano più velocemente di organizzazioni e persone. L’innovazione, per poter essere scaricata a terra, deve essere supportata da un forte engagement delle persone, che passa da attività di sponsorship del top management e la creazione di una cultura aziendale aperta al cambiamento ed iniziative di lavoro agile a tutti i livelli. Pertanto se da un lato l’organizzazione strutturale va rivisitata, ancor di più fare networking a più livelli diventa fondamentale per essere tutti sulla stessa lunghezza d’onda.

Il negozio fisico verrà soppiantato dall’e-commerce?

Assolutamente no, persino la pandemia ci sta dimostrando il contrario.

Pensiamo ad esempio che alcuni tra i più grandi player digital native, come Amazon e Alibaba, stanno investendo milioni di dollari nell’apertura di negozi fisici. Si parla persino di aperture di flagship store di Google. In realtà è il negozio digitale che sta diventando fisico.

Non esiste una dicotomia tra spazio fisico e digitale, piuttosto esiste una differenza tra chi sa adattare trend ed esigenze dei consumatori e chi non sa farlo. Ancora una volta è ben evidente quale sia la principale caratteristica di un’organizzazione commerciale di successo: l’ascolto costante del proprio target group e del mercato.

La cosa fondamentale per i player del retail sta nel reinventare lo spazio fisico, integrando sistemi e servizi digitali per innovare l’esperienza instore, come click&collect, realtà aumentata e realtà virtuale, online selling in store, uno store integrato con il digitale a tutti gli effetti.

I negozi animano paesi e centri città, ma oggi sono in crisi. Cosa serve fare?

I player devono saper leggere bene i trend più virtuosi e di successo e saperli interpretare e scaricarli a terra velocemente.

Osservare i comportamenti di acquisto dei propri clienti discriminandoli per singoli touchpoint è, dal mio punto di vista, un errore fatale. Occorre costruire un omnichannel journey per la propria customer base e prima di farlo occorre adeguare le organizzazioni interne a questa necessità, unendo reparti e competenze diverse. Chi non si adatterà sparirà, chi riuscirà a farlo avrà successo.

Inoltre la pandemia ha rafforzato il concetto di prossimità.

Il negozio fisico è ancora un punto di riferimento non solo per gli acquisti ma anche per le relazioni che attorno ad esso si sviluppano. Se vediamo anche il caso di Würth Italia, l’investimento nelle aperture di negozi fisici è davvero importante e la crescita dei volumi prodotti tramite i punti vendita raggiunge la doppia cifra, anche nell’anno della pandemia.

La sopravvivenza dei negozi dipende dal tipo di offerta di prodotti e servizi che si offre, andando incontro ad una sempre maggiore personalizzazione con il cliente ed integrazione con gli altri punti di contatto.

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