L’ingegnere Andrea Bacchetti è responsabile del progetto di ricerca “Impresa 4.0”, attivo dal 2014 sul tema della trasformazione digitale dei processi di business all’interno del RISE (Research & Innovation for Smart Enterpries), Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale dell’Università di Brescia. Lo abbiamo incontrato nel corso della 2° edizione del Forum delle Aziende Altoatesine organizzato da Würth Italia per discutere di digitalizzazione delle imprese.
Che cosa si intende per Industria 4.0?
Per Industria 4.0 si intende una trasformazione radicale del modo di fare business delle imprese, di qualsivoglia settore e dimensione. Nello specifico, si tratta dell’integrazione armonica e coordinata di tecnologie ICT (Information & Communication Technology) & OT (Operational Technology), al fine di generare un ecosistema interconnesso in cui tutti gli asset aziendali (persone, macchine, attrezzature, prodotti) possano generare e scambiare dati, al fine di migliorare la competitività globale delle aziende e più in ampio delle filiere.
Quarta Rivoluzione Industriale: come è cambiato il mercato?
La quarta rivoluzione industriale sta profondamente cambiando il mercato, in primis dell’offerta. Stanno arrivando a piena maturazione svariate nuove tecnologie digitali (es. intelligenza artificiale, blockchain, robotica collaborativa, stampa 3d), che hanno e avranno bisogno di essere integrate all’interno delle architetture (informative) pre-esistenti delle aziende manifatturiere (e non). C’è quindi bisogno di system integrator che aiutino le aziende ad integrare ed interconnettere al meglio tali tecnologie. Per intenderci, stiamo parlando di un mercato che cresce del 30% su base annua (fonte: Osservatorio Industry 4.0 – Politecnico di Milano).
Digitalizzazione dei processi produttivi: è una sfida che le imprese italiane sono pronte a cogliere?
Guardando i numeri della nostra ultima ricerca (Laboratorio RISE – Università degli Studi di Brescia), parzialmente sì. Il 35% delle aziende del campione esaminato (105 imprese manifatturiere con almeno un plant in Italia) sta già svolgendo progetti in ottica 4.0, e quindi può definirsi “in cammino” verso una piena trasformazione digitale. C’è però un 50% di imprese che è tuttora ferma, anche solo dal punto di vista della conoscenza delle tecnologie abilitanti. Qui c’è bisogno di lavorare in termini di sensibilizzazione e formazione, altrimenti c’è il concreto rischio che queste imprese non riescano a cogliere appieno i benefici della rivoluzione digitale, rimanendo sostanzialmente ferme intanto che le altre avanzano, accumulando gap competitivo.
Quali sono i settori più veloci e quali quelli più lenti in ottica 4.0?
Machinery, Automazione e Robotica sono i settori certamente più ricettivi. Anche l’automotive sta prendendo la rincorsa, sfruttando la congiuntura complessivamente positiva. Altri settori più tradizionali e più “lontani” dal consumatore finale (es. siderurgia), si segnalano invece per una maggiore inerzia, che li spinge ad innovare poco ed in modo perlopiù verticale, cioè applicando una singola tecnologia a supporto di un singolo processo.
Su quali tecnologie le imprese stanno attualmente investendo?
Tra tutte, certamente l’Industrial Internet of Things, il vero motore dell’intero paradigma 4.0, la stampa 3d (o manifattura additiva), gli analytics avanzati in grado di processare i big data e la robotica collaborativa. Tecnologie più di frontiera, ancora non pienamente mature, come blockchain e intelligenza artificiale, si caratterizzano oggi per investimenti più limitati, perlopiù a carico di grandi aziende globali. Infine, si segnalano investimenti crescenti anche nella cybersecurity; del resto l’azienda “intelligente” e sempre connessa, si espone a dei rischi di hackeraggio che vanno debitamente prevenuti.
Ritiene il Piano Impresa 4.0 uno strumento d’incentivazione efficace?
Il piano Impresa 4.0 varato dal Ministero per lo sviluppo economico (MISE) ha avuto il grande pregio di far ripartire gli investimenti in innovazione tecnologica. Prima del suo avvio, l’Italia era dotata di uno dei parchi macchine più obsoleti in Europa, con investimenti in continuo calo. A riprova della sua efficacia, una recente indagine (Fonte: KPMG, 2017) ha evidenziato che più del 50% delle imprese intervistate non avrebbe sostenuto (o comunque l’avrebbe fatto in misura minore) investimenti tecnologici. Sufficiente? No. Con la fase 2 del piano (recentemente lanciata), si affronta il tema delle competenze, che devono diventare 4.0 a loro volta. Tra le varie misure previste, segnalo il credito di imposta specificatamente pensato per le attività di formazione, che permette di “recuperare” il 40% dei costi sostenuti nello svolgimento di tali attività.
L’Industria 4.0 in Europa: quali i sono i modelli di riferimento?
Il modello per definizione di riferimento è quello tedesco, che per primo è stato avviato nel 2012. Trattasi di un modello basato sulla triangolazione tra governo, aziende (domanda & offerta tecnologica) e centri di ricerca (Fraunhofer su tutti). Il tessuto industriale italiano è però almeno parzialmente diverso da quello tedesco, e quindi ci si è dovuti ispirare anche ad altri piani industriali, come quello britannico (con i suoi Catapult) e quello francese, forse il più vicino a quello italiano, anche in termini di (sostanzioso) impegno economico-finanziario del governo. Last but not least, il modello statunitense “Smart Manufacturing”, baricentrato sui grandi provider tecnologici della Silicon Valley, e quindi per forza di cose non (pienamente) replicabile in Italia.
Digitalizzazione, automazione, intelligenza artificiale. Porteranno alla perdita di posti di lavoro o alla richiesta di nuove competenze?
Domanda difficile, risposta ancora più complicata. Azzardo una previsione. Nel breve periodo, il saldo potrà anche essere negativo, nella misura in cui molte attività di carattere operativo e ripetitivo, potranno essere affidate alla tecnologia (robot in primis), che sostituirà l’uomo. Nel medio-lungo però, assisteremo ad un progressivo aumento dell’occupazione, che potrà anche superare i livelli pre-rivoluzione. Affinché questo accada è necessario che cambino ed aumentino le competenze delle persone, a cui potranno essere affidati incarichi di più alto livello, meno ripetitivi, meno alienanti e di maggiore valore aggiunto. Nella sostanza, credo fortemente che non sarà l’eccesso di tecnologia a creare disoccupazione, bensì l’assenza, perché senza tecnologia le imprese non potranno rimanere sul mercato.
Corsa alla digitalizzazione delle imprese: che consigli darebbe alle aziende che vogliono investire nelle nuove tecnologie?
Occorre muoversi rapidamente, ma con cautela. Non tutte le tecnologie fanno necessariamente al caso di tutte le imprese. Occorre capire quali possono incidere, su quali processi di business, generando quali tipi di cambiamento (organizzativo, gestionale, informativo), a fronte di quali costi (hardware, software, etc.) e infine di quali benefici. È fondamentale partire da un accurato assessment del proprio attuale livello di maturità digitale e delle competenze esistenti e procedere con la progettazione di una road map pluriennale (non si diventa 4.0 in pochi mesi!), che, step by step, accompagni l’impresa nel proprio percorso di trasformazione verso la configurazione 4.0.
E a chi sta per entrare nel mondo del lavoro?
Siate curiosi ed abbiate voglia di apprendere le nuove tecnologie digitali. Sappiate che avete un’occasione straordinaria, visto che sarete coloro i quali portano tali tecnologie in azienda. Avete in questo senso una responsabilità importante, che è e sarà quella di aiutare le imprese a digitalizzarsi. Non dimenticate però di formarvi sulle metodiche tradizionali, visto che in azienda dovrete partire da lì per realizzare la trasformazione 4.0. E non dimenticate nemmeno di relazionarvi con chi è già in azienda da tempo; sono persone certamente meno digitali, che però ben più di voi conoscono l’as-is aziendale. Convinceteli della bontà del cambiamento, senza dimenticare o sottostimare le difficoltà che essi certamente avranno nell’affrontare la trasformazione.