Il 19 marzo scorso abbiamo inaugurato la mostra “Lucio Piantino: danze di colore e materia”, dedicata al giovane e vulcanico artista brasiliano Lucio Piantino.
Perché proprio all’Art Forum Würth Capena?
Lucio è nato nel 1995 a Brasilia e la sua famiglia, in particolare sua madre Lurdinha Danezy Piantino, ha dovuto da subito lottare per abbattere i molti pregiudizi ancora esistenti nei confronti della sindrome di Down. Lucio ha un cromosoma in più come anche Uwe Kächele e Ulrike Welz, due degli artisti tedeschi presenti nella mostra ancora in corso “Nasi odorano tulipani. L’arte irregolare nella Collezione Würth”, motivo per cui abbiamo accolto la proposta di Giuseppe Capparelli, Presidente del Centro Studi della Città del Sole di Altomonte (CS), e cercato di dare vita a un dialogo tra artisti di origine e talenti diversi accomunati dalla stessa condizione.
In occasione della sua prima mostra in Italia, svoltasi nel 2014 presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, Lucio ha sintetizzato così la sua ricerca: “I miei quadri sono i miei figli e i colori sono il cibo che do loro per nutrirli”, affermazione che, sommata alla visione delle opere, spazza via ogni dubbio sulla sua identità artistica.
Il giorno dell’inaugurazione era previsto un video-collegamento, che purtroppo non si è potuto fare a causa di un problema di salute di Lucio, il quale però ci ha inviato una videointervista in cui, tra altre considerazioni, ha dichiarato ancora una volta che per lui l’arte equivale alla vita.
Scorrendo la sua biografia, apprendiamo che ha cominciato a dipingere alla prodigiosa età di 11 mesi!
Nato in una famiglia di artisti (il nonno e suo padre sono pittori mentre sua madre è una designer di gioielli) è stato stimolato precocemente, ma non avrebbe raggiunto i risultati estetici che oggi conosciamo se non avesse un talento del tutto personale.
Tra le tele in mostra presso l’Art Forum ci sono opere realizzate con la tecnica della spatola e altre sperimentando il dripping, ovvero facendo gocciolare il colore sulla tela, come già intuì il pittore statunitense Jackson Pollock negli anni ’50. Diversi lavori riportano nel titolo il nome di gruppi musicali o cantanti, soprattutto della scena pop e rap. È il caso di “È o Tchan”, un gruppo di samba di Bahia, di “Charles Brown” e “Charles Brown Jr.”, un giovane rapper brasiliano scomparso nel 2013 e di Marisa Monte, cantante e compositrice di Rio de Janeiro, nota in Italia per aver cantato insieme al gruppo “Tribalistas” il singolo “Já sei namorar” nella serata conclusiva del Festivalbar nel 2003.
Quel che è importante sapere è che Lucio, non solo ama la musica, ma le sonorità che ascolta entrano in qualche modo a far parte dell’opera, dato che il ritmo accompagna i suoi gesti mentre dipinge.
Nonostante i suoi lavori comunichino una grande gioia di vivere, soprattutto in quelli in cui il colore si fa più denso e chi osserva ha la sensazione di immergersi nell’opera, altri alludono probabilmente a un vissuto meno felice, come ad esempio l’opera intitolata “Uomo spezzato”, in cui possiamo riconoscere una figura umana disarticolata. Lucio è stato infatti emarginato più volte da una burocrazia miope e disumana, che in alcuni casi gli ha impedito di frequentare la scuola.
Per ricordare l’importanza dell’inclusione e trasmettere i contenuti delle opere di Lucio, abbiamo organizzato in collaborazione con il Centro Diurno il Pungiglione un ciclo di laboratori didattici per bambini con e senza disabilità, perché solo lavorando e divertendosi fianco a fianco si può meglio apprezzare il valore della diversità.